Cazzomene

Due anni sono un sacco di tempo.

Se, poi, li passi lavorando in modo oppressivo e capriccioso, sono tantissimi.

Ogni ondata ho abbassato il baricentro sempre di più per smorzare l’impatto. Alla prima pieghi le gambe, alla seconda sei in ginocchio, alla terza ti sdrai: passatemi sopra, cazzomene.

Perché sei stanco e non ne puoi più.

Milioni di parole, di lodi, di insulti, di provvedimenti, di disubbidienza.

E tu che vorresti solo poter riposare, organizzare una cena con gli amici, un weekend al mare, una detartarasi.

Poco importa essere stati angeli e eroi e, poi, demoni e assassini.

Cazzomene.

Ora vorremmo solo riposare.

Andare in Spagna, nel mio posto del cuore, camminare fino a Plaja Cristal al mattino e bere un vermouth a Casa Pedro in un pomeriggio assolato.

Perché tali e tante sono state le brutture, i dolori, le frustrazioni e i rospi da ingoiare che non ci sono ricompense adeguate da ricevere.

Non le voglio.

Vorrei solo tornare a fare ciò che so fare e che ho fatto in modo straordinario, ma solo perché è il mestiere più bello del mondo.

Oddio, non so se sia il più bello, diciamo che è un tipo.

Uno di quei tipetti guasconi, che mentre ne elenchi i difetti te ne innamori.

E resti lì, in questo limbo di passione e disappunto, ma non te ne vai mai davvero.

Perché è tutto ciò che sai fare bene, e ora ne hai la prova.

Lo hai fatto bene e per tanto e per tanti e, anche se non l’hanno capito, alla fine, dai: cazzomene.

Caffè e sudore

Oggi ho bevuto solo caffè.

No, non ho mangiato.

Ho solo bevuto, acqua e caffè.

Nelle mie intenzioni ci sarebbe pure stato un pranzo della mensa: cavolfiori esausti e pasta stracotta.

E, invece, niente, non ho fatto in tempo, non l’ho ordinata nei rigidi confini temporali della mensa aziendale.

Acqua e caffè.

C’è di peggio e, comunque, non avrei avuto tempo.

Ora non vi annoierò raccontando di un turno assurdo e massacrante, di come una bombola dell’ossigeno mi sia caduta, in TAC di taglio sull’alluce.

Di un turno normale che dovrebbe essere straordinario ma non lo è.

Sono in Covid, oggi, e l’umidità è simile a un pomeriggio a Saigon.

Dopo 4 ore la divisa di cotone che porto sotto la Tyvek è fradicia di sudore.

Faccio fatica a concentrarmi, perché mi si sta ghiacciando addosso e non si lavora bene con rivoli freddi di sudore lungo la schiena, se devi concentrarti e pensare a cose importanti.

Quindi esco, e mi scuso con gli infermieri, “Esco pochi minuti, il tempo di cambiarmi”.

Ho dimenticato il cambio in macchina, mi lavo, ma la biancheria resta zuppa e la divisa, nuova e asciutta, si bagna, di nuovo, in un secondo.

Mi guardo allo specchio e in questi aloni zuppi vedo mille cose, vedo chi non sa cosa facciamo qui, cosa ogni giorno dobbiamo affrontare, che se solo potessi farvi vivere una mia giornata forse, ma solo forse, capireste il valore di certe scelte. Sono giornate zuppe di caffè e sudore, no proclami e dogmi, caffè che bevo e acqua che sudo. E come me, chi è con me, ogni giorno, ad arginare cose che nemmeno immaginate.

(Le foto sotto sono quelle della mia divisa, dopo quattro ore durante le quali ho provato ad essere un bravo medico. Uno di quelli che si suda l’anima.)

Buone Feste

Buone Feste a noi, che siamo sempre rimasti dove già eravamo.

Buone Feste a noi, che ci siamo spaventati, preoccupati, isolati.

Buone Feste a noi che ci abbiamo provato, e, poi, ci siamo arresi, e, poi, ci abbiamo riprovato.

Buone Feste a noi e alle videochiamate ai parenti, ad ogni volta che abbiamo dovuto comunicare un peggioramento, una situazione insanabile, un lutto.

Buone Feste a noi che abbiamo ascoltato gli ultimi saluti, le conversazioni con i nipoti, i saluti dei coniugi, dei figli, di chi a loro voleva bene.

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Come una lumaca

L’emergenza Covid è finita da tempo e la vita è ripartita, timidamente, ai suoi ritmi normali.

Sì, certo, mascherine, distanze e gel disinfettanti a fiumi, ma, tutto sommato, abbiamo imparato a conviverci, anche sul lavoro: tamponi, zone grigie, ecc… Niente a che vedere con quello che abbiamo vissuto nei mesi scorsi.

Sono passate settimane da quando ho indossato per l’ultima volta una tuta Tyvek.

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Un altro mondo

Quando salgo dalla Rianimazione pulita alla Ria Covid faccio sempre lo stesso percorso, a dirla tutta faccio anche sempre gli stessi gesti: prendo dallo zaino la biancheria pulita che indosserò dopo la doccia, la tuta Tyvek che teniamo nei cartoni e la FFP3, ascensore e salgo di due piani, il breve codice numerico e sono nel corridoio posteriore delle sale del secondo piano, dove due mesi e una vita fa c’erano le sale operatorie di Ortopedia e Oculistica, dove raramente mettevo piede, c’erano i colleghi che si occupavano prevalentemente di quello e io, diciamocelo, sono sempre stata una mezzasega nei blocchi periferici, partivo con tutta la manfrina e, poi, finivo a Diprivan e maschera laringea. Continua a leggere

Le nostre brutte mani

“Ragazzi, ci siamo, è ora di ballare.”

Il mio capo è campione mondiale di messaggi bomba su Watzapp.

Il Piemonte sta esplodendo, 10 giorni dopo i cugini lombardi, quei cugini che da giorni ci danno indicazioni e consigli sulla gestione dei pazienti.

Cosa dicono le ultime linee guida? Continua a leggere

Quando tutto questo sarà passato

Mai avrei pensato nella vita di dover, ad un certo punto, affrontare un’emergenza epidemica come quella che si è abbattuta questa settimana in Italia, a causa di Coronavirus.

E’ stato tutto così rapido e concitato che ci vuole un attimo a fare il punto, pur sapendo che i conti veri, quelli epidemiologici e statistici, verranno fatti per bene solo alla fine, perché ci sarà una fine, e saranno sicuramente dati molto interessanti.

Noi addetti ai lavori sapevamo che stava per arrivare, eravamo all’erta da tempo, ma quello che, forse, non ci aspettavamo era l’effetto detonante che questo arrivo avrebbe provocato sulla popolazione. Continua a leggere

“Come si sente, dottore?”

Siate onesti, da quanto tempo vi parlo della tragica situazione della Sanità Italiana? Io vi vedo, da qui, tutti a pensare: “Eh, il solito melodramma, questi medici ricconi che piangono lacrime di coccodrillo, che si lamentano di “gamba sana”, e poi fatturano soldoni in nero…”

Eh, col cazzo, il tempo è passato e avete finalmente capito cosa volevo dirvi, vero? Oppure non avete capito, allora ve lo spiego con calma.

“Come si sente, dottore?”

“Male.” Continua a leggere