La malattia è estremamente democratica. Non guarda in faccia a nessuno: giovani, vecchi, brave persone e stronzi, uomini, donne, liberi e carcerati.
In tutte le città in cui ho lavorato, oltre all’ospedale c’era anche il carcere. Ogni istituto di pena ha un medico di guardia, ma ben poche possibilità di andare oltre all’assistenza di base, per cui, per qualsiasi cosa vada oltre alla prescrizione di un antibiotico, fanno riferimento agli ospedali cittadini.
L’arrivo di un carcerato in Pronto Soccorso o nei reparti, crea sempre un pò di confusione. Anticipato dalla chiamata dal carcere, il blindato parcheggia direttamente nel cortile interno. Il numero di guardie carcerarie è direttamente proporzionale alla gravità dell’imputazione. Le manette ai polsi sono una costante. E non sono niente di bello da vedere.
I carcerati arrivano in ospedale per due motivi fondamentali: perchè si sono inflitti volontariamente una lesione o per i motivi di salute comuni a tutti noi.
La noia della pena è tale che un ricovero in ospedale sembra comunque un’ alternativa appetibile. Qualcuno si fa rompere un dito dai compagni di cella, altri ingoiano lamette preventivamente avvolte da scotch in modo da essere innocue. Il tutto si risolve in poche ore al Pronto Soccorso, nei casi più riusciti con intervento chirurgico. Poche ore o pochi giorni fuori da lì, a guardare e parlare con facce nuove, persone che si curano di te, magari qualche ragazza carina e gentile. Una botta di vita vera anche se artificiale, per tornare a sentirsi liberi, o almeno come tutti gli altri. Vale, evidentemente, la pena di farlo, perchè te li ritrovi ciclicamente, cambiano il dito rotto o il numero di lamette, ma quando la noia diventa insopportabile arrivano. Dopo qualche anno li conosci per nome.
In un ospedale di una città che ospitava un carcere di massima sicurezza, ricordo di aver visto boss di spicco, con patologie croniche, venire a fare i controlli di routine alle 5 del mattino, con tre camionette diverse per depistare gli eventuali fedelissimi che volessero approfittare del giro “fuori” per una evasione in grande stile. In questi “illustri” casi tu, medico ospedaliero, non sai mai nè il giorno, nè l’ora, sai solo che, prima o poi, a scadenza fissa, arriveranno. Negli anni ho capito che meno persone sanno, più si assottigliano le possibilità di fuga di notizie. A noi, comunque, non cambia niente, noi siamo sempre lì, di giorno come di notte.
Io vedo i casi più gravi, quelli che arrivano in Sala Operatoria. Ho visto sia Italiani, sia stranieri, persone che mi hanno colpito per la loro normalità, come se fossi intimamente convinta che la malvagità di certi comportamenti ti imprimesse in faccia segni indelebili. Non è vero. se non me l’avessero detto, non me ne sarei mai accorta.
Ovviamente, durante il ricovero, non puoi tenerli in camera con gli altri pazienti, per cui esistono le celle ospedaliere. Sono camere in angoli isolati dell’ospedale, con finestre con sbarre e bagni senza porta. E la poltrona per il secondino.
Le guardie carcerarie sono delle vere ombre. Li seguono ovunque, tolgono loro le manette solo se strettamente necessario e restano lì, sempre. Una volta, in Rianimazione, ho fatto fatica a convincere le guardie che non era necessario restare in due di fianco al letto di un uomo in coma. Non sarebbe potuto scappare se non l’avessi svegliato io. Siamo giunti al compromesso che sarebbero rimasti fuori e sarebbero entrati a riconoscerlo e a testimoniare la sua presenza lì, due volte al giorno, in orario visita.
Anni fa ho addormentato un paziente che stava scontando più di un ergastolo per motivi che non ho mai saputo. E’ stato accompagnato in manette fino in Sala Operatoria con due Carabinieri armati. Li abbiamo fatti vestire con le nostre divise e, nonostante le nostre rassicurazioni, non hanno voluto sentire ragione, sono entrati con le armi di ordinanza. Una volta addormentato e intubato ho osato dire loro che a quel punto la precauzione era inutile. “No, dottoressa, noi restiamo qui vicino e armati. Non si sa mai”.
Non so cosa a cosa si riferissero e cosa fosse la cosa terribile che avesse fatto quell’uomo, tale da renderlo pericoloso anche in coma. Chissà cosa si aspettavano di dover fronteggiare, l’intervento era lungo e la patologia molto grave e non basta un mitra per ammazzare la Morte.