In questi giorni si parla moltissimo del caso di una giovane paziente pediatrica, deceduta in seguito ad intervento di miringoplastica. Ora, io non voglio in alcun modo entrare nel merito del caso specifico, voglio, invece, partire da qui per fare alcune riflessioni che, come sempre, spero non vengano stravolte, o pelosamente interpretate.
In quel caso cazzi vostri, i miei intenti sono chiari, se voi siete in malafede pace e amen.
Nei servizi televisivi e giornalistici, in questo, così come in casi simili, ricorre quasi sempre la stessa frase, detta magari con sfumature differenti, ma che nella sostanza resta la medesima: “Vogliamo chiarezza/giustizia, il nostro caro XY è entrato sano e uscito cadavere, qualcuno deve pagare, era un banale intervento di routine”.
Ecco, è esattamente su questo messaggio che voglio incentrare tutta la mia riflessione, non sul caso specifico, ne’ su altri.
Piano, piano, senza pestare troppe merde, vediamo se ce la faccio.
Innanzitutto la responsabilità del medico viene chiamata in causa in casi di Incompetenza, Imprudenza e Imperizia. Termini che hanno un significato preciso e puntuale e che non sono sinonimi di “Esercizio della professione medica”.
Se il malato è morto non è detto che, per forza, si siano verificate una delle tre condizioni.
I pazienti muoiono perchè sono mortali e, spesso, malati.
Il decesso conseguente ad una pratica medica non è, necessariamente, correlato all’errore di qualcuno. Esistono malformazioni congenite, rischi individuali, rischi legati alla patologia che li ha condotti in ospedale, piuttosto che alla pratica medica, o chirurgica, che viene adottata nel processo di cura, che aumentano la mortalità dell’individuo.
Non esiste nessuna pratica medica scevra da rischio, così come, badate bene, non esiste nessuna attività umana che lo sia.
Siete sicuri che non farete un incidente mortale andando al lavoro? Sicuri al 100%? Come potete, quindi, pensare che sia sicura al 100% un’appendicectomia, piuttosto che un’artroscopia al menisco? Eppure questi sono interventi che vengono eseguiti molto frequentemente negli ospedali.
Il parto stesso, anche quando avviene spontaneamente, è carico anch’esso di una percentuale di decesso materno e infantile ragguardevole. Anzi, proprio in questo caso, la medicina ha ridotto notevolmente nei secoli la percentuale di mortalità.
Non troverete mai un medico che vi dica:”Tranquillo, si tratta di un banale intervento che le assicuro al 100% riuscirà perfettamente.” E se lo trovate, scappate molto lontano da lui.
Troverete, più facilmente, medici che vi diranno che si tratta di un intervento che comporta rischi minimi (e, qualora le vogliate, vi verranno fornite anche le percentuali), sia di decesso che di disabilità residua. Così come vi parleranno, anche, di quante probabilità esistono di risolvere il problema, invece di aggravarlo.
Ma il rischio zero non esiste.
Capiamoci, non sono Biancaneve e la Sanità non è certo il Regno delle fiabe. L’errore medico esiste e so benissimo che in giro ci sono medici incompetenti, imprudenti e imperiti, e sono la prima, assieme a tutti gli altri colleghi, a volerli in galera, ma, anche se lo so che non mi credete, fanno più danno a noi, che ai pazienti.
Il luogo comune secondo il quale, se il paziente muore, o resta menomato, sia, sicuramente, colpa di un errore medico, è l’esempio più lampante di quanto la ridotta malpratica medica (no, non leggerete mai scritto da me malasanità) rispetto alla quotidiana, e soverchiante, buona condotta clinica, abbia compromesso il rapporto di fiducia tra medici e pazienti.
In caso di decesso di giovani pazienti, viene, quasi, automaticamente sollevato un “caso” mediatico, mentre nessuna parola viene spesa per tutti i pazienti che, ogni giorno, a vario titolo, beneficiano di cure e processi clinici che li portano a guarigione, o a miglioramento della propria situazione clinica.
Io conosco il dolore che comporta la perdita di una persona amata per malattia e posso solo immaginare quanto questo dolore si possa amplificare quando si tratta di figli, o nipoti, ma il senso di questo dolore, sempre se di senso si possa parlare, non deve essere automaticamente indirizzato nella ricerca di colpevoli.
Perchè non sempre esistono dei colpevoli.
Per quanto possa sembrare innaturale su un corpo giovane, e quindi universalmente inteso come sano, la malattia può essere la sola e unica responsabile del decesso.
Perchè, per quanto ci piacerebbe (e, oh sì, quanto ci piacerebbe) tutta la nostra medicina non basta per guarire tutto, per guarire tutti, per guarirli sempre. Anche quando sono pazienti giovani, anche quando sono pazienti forti, anche quando sono sottoposti a pratiche chirurgiche collaudate.
A volte, quando ascolto la frese:”Vogliamo chiarezza, vogliamo giustizia.” Quello che, in realtà, sento è:”Vogliamo vendetta.”
Ed è umano e comprensibile, desiderare disperatamente vendetta per un torto così grande e profondo come la morte di una persona amata, che in ospedale non ci è finito per una patologia grave. Perchè se la vendetta porta con se’ dolore a qualcun altro, magari il peso del dolore che ci è crollato addosso si allegerirà. Ma non è così e lo sappiamo tutti molto bene. Non c’è giustizia nella Malattia e nella Morte. Sono dolori assai democratici che possono colpire tutti, senza distinzione alcuna.
L’affannosa ricerca di colpevoli fisici e umani, sui quali provare a scaricare una parte del nostro dolore non sempre è la strada che porta alla verità.
Spesso porta solo altro dolore.
Perchè non pensiate che per gli operatori queste morti siano semplici, o leggere da sopportare. Sono macigni anche per noi, anche se rientra nel nostro lavoro e, pienamente consapevoli del fatto che non si trattava del nostro, di figlio.
Esistono pubblicità, una di queste ritirata di recente dalla televisione, ma altrettante circolano sugli altri mezzi di comunicazione, che istigano al dubbio, alla coltivazione della non-fiducia nei confronti della figura del medico: “Credi di essere stato vittima di un errore medico? Pensi di aver subito un torto nella gestione della tua salute?” Non sono altro che crepe sul pavimento su cui si compie il percorso di cura. Sono le falle che creano precipizi abissali, nei quali, però, possiamo cadere tutti, medici e pazienti.
Perchè il giorno in cui si smetterà di pensare che le malattie e gli interventi possano essere banali e che, se il paziente sopravvive è merito di Dio e, se muore, è colpa del medico, le crepe si avvicineranno e potremmo ricominciare a parlarci, a capirci, a fidarci reciprocamente.
Non ci preserverà dalla malattia e nemmeno dalla morte, ma, almeno, potremmo affrontarle insieme.