Le visite anestesiologiche preintervento sono forse l’unico momento di socialità che noi anestesisti abbiamo con i nostri pazienti.
Durante gli interventi ci parliamo solo per pochi minuti e, quando i pazienti sostano, anche a lungo, in Rianimazione, in realtà parliamo quotidianamente con i parenti e poco con loro. Quanto sono così svegli da poterci conversare dopo poco vengono dimessi.
Questo è il motivo per cui mi piace fare visite prericovero, perchè si chiacchiera e a me piace chiacchierare.
La Chirurgia è, praticamente, il mio secondo reparto di appartenenza. Per una serie di coincidenze, più o meno forzate, ho passato buona parte della mia attività lavorativa nella loro sala operatoria e, di conseguenza, nel loro reparto, per questo mi muovo disinvolta, so dove trovare il materiale che mi serve, o dove si trovino le cartelle e i pazienti, quindi entro decisa nella stanza singola.
“Buongiorno signora, sono la dottoressa X, la sua anestesista di domani.”
La stanza è ariosa e una bella luce entra dalla finestra, la donna sul letto sembra microscopica, una donnina delle fiabe, piccola e proporzionata, in un grande letto fatto per un gigante. La mia allegria forzata suona tra le pareti come le unghie su una lavagna, ma lei sta al gioco e mi sorride, senza alcun motivo per farlo. Siamo in Piemonte, probabilmente ha paura di offendermi, o di risultare maleducata.
“Buongiorno dottoressa, ci sarà lei domani?”
Un domani così grosso e pesante che già tracima nell’oggi: “Si, ci sarò io, sono venuta a parlarle proprio dell’anestesia che le farò.”
“Va bene, mi dica, parliamoci chiaramente che tanto so tutto.”
Un “tutto” che significa un lungo intervento demolitivo, un pacchetto di presidi anestesiologici completo, un ricovero in Rianimazione e poi vedremo.
Lei ascolta, annuisce, seria e tranquilla, quasi serena, poi mi fa una domanda.
“Posso chiederle una cosa?”
“Sono qui apposta.”
“Prima è passato il chirurgo e mi ha detto chiaramente che ho un brutto tumore, mia figlia e mio marito non c’erano, arriveranno più tardi, quindi loro ancora non sanno bene tutto. Mi faccia un favore e lo dica anche al chirurgo: non dite loro niente. Non dite proprio esattamente cosa faremo domani e quanto sia brutto il tumore. Tanto non serve, lo so io e basta. Loro si preoccuppano e non voglio. Mio marito è già stato operato al cuore e certe emozioni non gli fanno bene e mia figlia dovrà gestire me, lui che non si fa nemmeno un piatto di pasta da solo e il marito e i bambini e il lavoro. Non ha bisogno di troppe preoccupazioni. Ne ha già tante. Lo farà?”
Annuisco, certo che lo farò e lo dirò pure al chirurgo.
Non tradirei mai un gesto d’amore, quale il voler tutelare la propria famiglia dall’arrivo del dolore, anche se non servirà a nulla, la malattia ci penserà da sola a presentarsi senza invito.
Finchè siamo lucidi e svegli, senza tubi e cateteri, è sano e naturale voler proteggere gli altri dalla previsione del dolore, perchè quando, poi, arriverà quello vero e travolgente forse noi non saremo più lì, o non avremo sufficienti forze per rimandarlo indietro e non potremo più proteggere nessuno. Ne’ i nostri cari, ne’ noi.
Un gesto di cura come mille altri fatti nella vita, come un piatto di pasta lasciato sul tavolo a chi rientra tardi dal lavoro, una camicia ben stirata per un colloquio, come conoscere di ogni membro della famiglia taglie e misure. Accudire fino all’ultimo, perchè tutti possano stare bene, essere sereni, non affannarsi inutilmente, che di guai già ce ne sono tanti. Cercare sempre, finchè si può, di fermare una valanga con le mani.
Non ditelo agli altri, finchè ancora posso scegliere, finchè ancora posso decidere, finchè ancora li possa proteggere.