Mai avrei pensato nella vita di dover, ad un certo punto, affrontare un’emergenza epidemica come quella che si è abbattuta questa settimana in Italia, a causa di Coronavirus.
E’ stato tutto così rapido e concitato che ci vuole un attimo a fare il punto, pur sapendo che i conti veri, quelli epidemiologici e statistici, verranno fatti per bene solo alla fine, perché ci sarà una fine, e saranno sicuramente dati molto interessanti.
Noi addetti ai lavori sapevamo che stava per arrivare, eravamo all’erta da tempo, ma quello che, forse, non ci aspettavamo era l’effetto detonante che questo arrivo avrebbe provocato sulla popolazione.
Non ho alcuna intenzione di stare qui ad ingrassare le fila di opinionisti, sedicenti esperti e tuttologi che sciorinano numeri e dati nel disordinato e confuso turbinio di questi giorni.
Io, come i miei colleghi, ascolto solo l’ OMS, le disposizioni del Ministero della Salute, la letteratura internazionale, i comunicati del mio primario e i suggerimenti dei colleghi che, in queste ore, stanno affrontando i primi casi, in una rete fitta e di continuo scambio su procedure e consigli clinici.
Non mi interessano le opinioni dei giornalisti e la loro folle gestione della comunicazione, non mi interessano gli esperti paludati che gridano numeri e cifre alimentando il panico e sciacallando sulla paura, quando tutto quello che in questo momento è necessario fare sarebbe mantenere la calma, seguire le istruzioni per evitare il contagio e lasciarci lavorare in pace.
Quello che la popolazione “laica” deve fare in queste ore è molto semplice, perché le cose difficili le dobbiamo fare noi e le sappiamo fare.
Abbiamo studiato tutta la vita per un motivo e uno di questi è che, di fronte ad una situazione del genere, bisogna solo restare concentrati e saldi, si studiano procedure, si ripetono pratiche, che fino ad oggi, in molti casi, erano solo teoriche, si fa un respiro e ci si prepara al peggio.
Nessun operatore sanitario si è licenziato perché terrorizzato dall’idea di essere contagiato e di poter trasmettere il virus alla propria famiglia, nessuno si è tirato indietro.
Ah, bhe, grazie, è il vostro lavoro.
Esattamente e sappiamo come farlo.
Mentre la gente saccheggiava i supermercati dei beni di primo conforto noi stilavamo protocolli e simulavamo la vestizione e la svestizione dei presìdi anti contagio, sistemandoli su carrelli appositi, ci contavamo, ASL per ASL, come i soldati in trincea.
Eppure, appena esplode la notizia, mentre noi lavoriamo in silenzio, il Primo Ministro non perde l’occasione per sparare un’accusa allusiva al SSN, come responsabile della diffusione.
Non merita nemmeno una replica, non merita la nostra attenzione, ora.
E’ straordinario constatare il numero di infettivologi, virologi e epidemiologi che abbiamo in Italia, una roba da lasciare esterrefatti, visto che sono merce rara negli ospedali. Nel mio, ad esempio, manco ce l’abbiamo un reparto di Medicina Infettivi, non c’è nemmeno un infettivologo ufficiale. Vi prego, “colleghi”, esibite le vostre lauree e presentatevi nei nostri ospedali, abbiamo bisogno di voi, ma non solo ora, anche quando abbiamo le normali epidemie d’influenza, o con quei pazienti settici che gioverebbero dell’opinione di brillanti esperti, quali siete voi.
Mi fa, anche, molto piacere che pare vi siate, finalmente, accorti che è possibile morire d’influenza e che, per certe fasce di popolazione, la letalità è estremamente elevata. Ma non solo per il Coronavirus, eh, proprio per la “banale influenza stagionale”, quella per la quale insistevamo nella campagna vaccinale. Vedi che forse rompevamo i coglioni per un motivo?
I Novax non li voglio nemmeno nominare, mi limito ad aspettarli al varco, quando sarà il momento. Sapevo che, prima o poi, sarebbe arrivato.
E’ anche affascinante, da qui, vedere il repentino mutamento della fiducia generale nei confronti della scienza e della medicina, al punto da diventare esperti, più esperti di noi, nel conoscere formulazioni fluide, gelificate, o solide dei disinfettanti, su quale sia il modo più corretto di lavarsi le mani, dei prodotti più efficaci, delle concentrazioni alcooliche più affidabili, dei tempi e delle sequenze di lavaggio. Noi lo facciamo dal primo giorno di frequenza in ospedale, ben arrivati, ma grazie per provare ad ogni occasione a farci la punta al fuso, siete davvero adorabili.
Esiste, però, un indubbio vantaggio nella follia di questi giorni disgraziati, ovvero che in ospedale, almeno in quelli piccoli come il mio (immagino che in quelli con i pazienti positivi il clima sia un po’ più teso), si lavora benissimo.
La routine non ha subito nessun rallentamento, gli ambulatori e le sale operatorie lavorano come sempre, ma l’ospedale non è sovraccarico di confusione come al solito. Ci sono i malati, gli stretti parenti con accesso limitato ai reparti e solo chi ha davvero bisogno di noi varca la porta. Il Pronto Soccorso è aperto come sempre, ma i codici bianchi e verdi sembrano spariti, nessuno che si presenti più, alle 2 del mattino per un dito dolorante, schiacciato nel cassetto 15 giorni prima, nessun assembramento di parenti (5-6-10!) per ogni degente, nessuna muraglia umana davanti alla Rianimazione, quando è noto che solo 2 persone al giorno possano entrare, ma, ugualmente, “Dottoressa, solo 10 minuti, ma mio nipote è venuto da Avellino per poter veder la prozia, ecc…”. Nessuno che gridi allo scandalo e alla malasanità, nessuno che ci prenda per il bavero, perché convinto di aver subito un’ingiustizia.
Solo che noi siamo sempre gli stessi della scorsa settimana e dubito che le nostre competenze, in soli 7 giorni, siano cambiate di molto, quelli che sono cambiati siete voi, voi e la vostra percezione, voi e il vostro atteggiamento.
Credo di non essere mai stata ascoltata con tanto rispetto e fiducia come durante l’ambulatorio di oggi, pazienti silenziosi ed educati, che non si perdevano in mille chiacchiere e manierismi, ma che andavano dritti al punto, attenti nell’ascoltare e puntuali nelle risposte, solo perché avevano fretta di andarsene da lì, concentrati e cortesi.
Ci voleva un’epidemia contagiosissima di un virus proveniente da un paese misterioso per resettare gli equilibri e riportare i ruoli e le competenze nel loro giusto ordine, un po’ come quando si fa trasloco e si mette a soqquadro la casa e, finalmente, nel posto che mai avresti pensato, ritrovi quel braccialetto, o quel fascio di fotografie preziose che ti aveva addolorato aver perso.
Chissà se quando tutto questo sarà passato vi ricorderete di quanto sia stato abusato questo nostro povero SSN (sì, nazionale, perché tutta questa situazione sta gravando esclusivamente sulle strutture statali e non private), di quanto fango, di quante inutili illazioni e denunce e idiozie siano state dette inutilmente.
Chissà se quando tutto questo sarà passato vi ricorderete delle aggressioni al personale, dell’abuso sistematico dell’accesso alle cure e dei Pronto Soccorso.
Chissà se quando tutto questo sarà passato avrete ancora tutta questa urgenza di vaccini e prevenzione.
Chissà se quando tutto questo sarà passato continuerete a chiamarci eroi, o angeli. Questo, sinceramente me lo auguro, anche perché non è vero, non siamo eroi e nemmeno angeli, siamo medici, infermieri, ostetriche, tecnici di laboratorio, OSS e volontari del soccorso, siamo professionisti.
E quando tutto questo sarà passato, sarà passato proprio per questo, perché siamo professionisti seri e preparati.
Siamo gli stessi della scorsa settimana, ricordate?
[Questo post è dedicato a tutto il personale impegnato in questi giorni, e nei giorni, settimane a venire, a fronteggiare l’emergenza sanitaria da Coronavirus. La mia stima e il mio rispetto a tutti voi. Ce la faremo. Come sempre.]