Due anni sono un sacco di tempo.
Se, poi, li passi lavorando in modo oppressivo e capriccioso, sono tantissimi.
Ogni ondata ho abbassato il baricentro sempre di più per smorzare l’impatto. Alla prima pieghi le gambe, alla seconda sei in ginocchio, alla terza ti sdrai: passatemi sopra, cazzomene.
Perché sei stanco e non ne puoi più.
Milioni di parole, di lodi, di insulti, di provvedimenti, di disubbidienza.
E tu che vorresti solo poter riposare, organizzare una cena con gli amici, un weekend al mare, una detartarasi.
Poco importa essere stati angeli e eroi e, poi, demoni e assassini.
Cazzomene.
Ora vorremmo solo riposare.
Andare in Spagna, nel mio posto del cuore, camminare fino a Plaja Cristal al mattino e bere un vermouth a Casa Pedro in un pomeriggio assolato.
Perché tali e tante sono state le brutture, i dolori, le frustrazioni e i rospi da ingoiare che non ci sono ricompense adeguate da ricevere.
Non le voglio.
Vorrei solo tornare a fare ciò che so fare e che ho fatto in modo straordinario, ma solo perché è il mestiere più bello del mondo.
Oddio, non so se sia il più bello, diciamo che è un tipo.
Uno di quei tipetti guasconi, che mentre ne elenchi i difetti te ne innamori.
E resti lì, in questo limbo di passione e disappunto, ma non te ne vai mai davvero.
Perché è tutto ciò che sai fare bene, e ora ne hai la prova.
Lo hai fatto bene e per tanto e per tanti e, anche se non l’hanno capito, alla fine, dai: cazzomene.